RENZI “CASO” NAZIONALE VISTO CON GLI OCCHI DELLA TOSCANA. ECCO PERCHE’ LA “RIVOLUZIONE” NON FUNZIONERA’

di Stefania Fuscagni

Consigliere Regionale PDL

Portavoce Opposizione Consiglio Regionale della Toscana

Sono toscana, conosco Matteo Renzi e voglio prenderlo sul serio. Per farlo non voglio guardare indietro, ma avanti. Per farlo voglio superare chi dice che, in fondo, parla di tutto e quindi di niente. Voglio, al contrario, far conto che quel tutto sia davvero un tutto. Sia, insomma, un pensiero politico di sostanza. Meglio ancora: che il suo sia un progetto politico del PD.

L’esser toscana, però, mi dà anche un altro vantaggio cioè quello di conoscere bene il PD non come partito di opposizione che si candida al governo, ma come partito di governo da sempre al governo di un territorio. Noi toscani – come gli emiliani, gli umbri ed in parte i marchigiani- sperimentiamo da sempre e sulla nostra pelle cosa sia e come sia la sinistra italiana quando non ha bisogno di compromessi, ma può liberamente e compiutamente essere come essa e’ nell’anima, nella testa, nel modo di fare, nel modo di vedere le cose.

Noi toscani sappiamo cosa significa vivere all’interno, ma fuori dal giro, di un sistema di potere che tutto abbraccia, tutto avviluppa, tutto gestisce, tutto guida. Un sistema formato e firmato PD dove il pubblico e’ tale solo se coincide con lo statale o il parastatale; dove esiste una visione di massa ma spesso non di comunità; dove la famiglia e’ un pensiero da superare; dove il merito e’ una forma di conservatorismo da vincere con l’egualitarismo buonista. Ma non solo: i luoghi governati e permeati dalla cultura di cui il PD e’ espressione sono luoghi dove l’economia e’ retta e orientata da cooperative limitrofe al Partito e sono loro che tirano le fila delle scelte economiche; dove i tre radicalismi – quello economico, quello giustizialista, quello etico- non sono una minaccia ma una promessa qui purtroppo mantenuta; dove l’aborto e l’eutanasia sono diritti; dove il futuro ha nel sessantotto il suo mentore inteso come il migliore dei passati; dove ha più senso dire mondialismo che europeismo; dove il concetto di radici ed identita’ culturale sono concetti negativi e fondativi le diseguaglianze anziché essere le due chiavi per costruire una reciprocità faticosa ma giusta; dove il relativismo e’ la misura di tutte le cose. Questo modello, che ha una sua decisa e ben riconoscibile forza culturale, e’ il modello del PD nel quale si riconosce la maggior parte dei suoi elettori.

A chi conosce il PD nella sua essenza, anche volendo riconoscere all’avversario Renzi onestà intellettuale e visione politica nella metà campo del centro-sinistra, non sfugge come il “Renzi pensiero” sia estraneo al corpo del PD.

Un corpo che ha dimostrato di essere impermeabile alla storia, figuriamoci se non sarà capace di essere impermeabile ad leadership. Questa “alterità” tra Renzi ed il PD l’hanno compresa bene due persone: il Presidente Berlusconi e lo stesso Renzi. Lo ha compreso Berlusconi che ha dimostrato la stoffa dell’uomo di governo che si augura, come in altri tempi fece un altrettanto grande Francesco Cossiga, che la controparte si normalizzi e si migliori perché, in ogni caso, se ciò rappresenta un intoppo per la vittoria di una parte (la sua in questo caso) rappresenta di certo un vantaggio per l’Italia. Pare, tuttavia, che lo abbia compreso bene lo stesso Renzi che, forse, nutre la certezza di essere in sintonia con gli italiani, ma di certo nutre molti dubbi di essere in sintonia con gli italiani che votano PD. Questo è così vero che per la battaglia alla primarie si rivolge “fuori” dal PD perchè sa bene, se non consapevolmente di certo inconsciamente come solo un toscano non ex comunista può avvertire, che il perimetro del PD e’ un altro

Del resto il Sindaco Renzi lo sa bene che la sua battaglia la vince se le primarie si “inquinano” o se vogliamo si “aprono”, se gli elettori del PdL lo scelgono come candidato del PD per quella sana avversione al “modello Bersani” che è il modello classico della sinistra italiana post comunista e mai davvero socialdemocratica. Lui lo sa bene che se non viene un aiuto “lontano” i suoi compagni di partito non hanno queste sensibilità.

Nella sua Firenze, che è pure la mia, questa traccia, questa orma del PD nel suo massimo splendore, si chiama aeroporto “a mezzo servizio” perché sotto scacco del radicalismo dei Sindaci Pci-Pds-ds-pd e del Presidente della regione, il bersaniano Rossi, contro i quali Renzi non la spunta da anni perché vincono loro non lui; si chiama aree vaste al posto delle province per gestire e non governare la Toscana; si chiama sanità e scuola in mano solo statale o parastatale; si chiama premi di produttività trasformati in quattordicesime in barba al concetto di merito; si chiama assenza di politiche per la famiglia e per la natalità’ in barba al concetto di futuro; si chiama multiculturalismo e relativismo portato alle estreme conseguenze (penso alla infibulazione dolce sperimentata in Toscana anni fa) in barba a quell’ Europa che non potrà essere orizzonte di crescita se non avrà un’anima cristiana, liberale, riformista e popolare.

Ecco perché la rivoluzione renziana, posto che sia, non può convincere i toscani e non può farlo perché noi il PD vero, quello con il “muso duro”, quello che anima la classe dirigente che andrà in Parlamento e al Governo sia con Renzi che con Bersani, lo conosciamo bene e sappiamo che a vincerlo può essere solo la forza di un popolo e non il sogno o il desiderio o il bisogno o la legittima ambizione di una sola persona. Firenze lo dimostra e la Toscana, meglio di chiunque, lo sa.

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