Basta con la crisi: è l’ora della ripresa

Gli analisti in tutto il mondo si interrogano sui tempi della ripresa. La recessione sta decelerando? Siamo vicini alla risalita? Le risposte non sono omogenee e soprattutto sono molto volatili. I governi si pongono le stesse domande. Ma a differenza degli analisti i governi sono chiamati ad influire su queste previsioni e quindi a dare risposte condizionate, cioè in parte dipendenti dalle politiche messe in atto.

 In parte, perché l’effettiva capacità dei governi di influire sulla crescita economica è scarsa, soprattutto per quella di lungo periodo. E’ maggiore la capacità di influenzare la congiuntura, soprattutto se essa è di tipo asimmetrico, se cioè colpisce un singolo paese o un’area del mondo. Ma è limitata se la recessione è globale, come nel caso che stiamo vivendo, e se, come è il caso dell’Italia, il paese è una piccola economia aperta fortemente integrata nei mercati internazionali. Non si tratta di una premessa per l’inazione della politica ma al contrario per una lettura oggettiva dei dati della recessione al fine di condizionarne, per quanto possibile, l’evoluzione futura con politiche appropriate.

I dati, anche quelli appena forniti dall’Istat relativi al primo trimestre dell’anno in corso sul Pil e le sue componenti di domanda, ci dicono che la recessione è grave, ma è nell’ordine delle recessioni conosciute negli anni settanta. I dati confermano che l’Italia sta subendo l’impatto della crisi mondiale attraverso due canali principali: il collasso del commercio internazionale e la crisi finanziaria che ha determinato un restringimento del credito. Questo impatto si legge, nei dati congiunturali italiani, nella caduta delle esportazioni, conseguenza del crollo della domanda mondiale, e nella forte flessione degli investimenti, scoraggiati dall’incertezza sulla domanda futura e frenati dalle difficoltà di finanziamento. Nei dati si legge anche l’effetto del ciclo delle scorte che accentua la flessione della produzione nelle fasi di riduzione della domanda. I governi, presi singolarmente, possono cercare di influenzare la domanda interna, cioè i consumi ed investimenti interni, non quella estera. I consumi delle famiglie sono certamente diminuiti, ma in misura limitata tenuto conto dell’ampiezza della recessione. Negli ultimi tre trimestri di recessione essi  hanno contribuito per meno di un quarto alla flessione del Pil, pur rappresentando la componente di maggior peso della domanda interna. La relativa tenuta dei consumi è spiegata dal fatto che i cosiddetti redditi fissi, cioè i redditi rappresentati da salari e pensioni, non sono colpiti dalla crisi, ma sono previsti al contrario crescere in termini reali grazie alla flessione del tasso di inflazione.

Evidentemente sono colpiti dalla crisi, tra i lavoratori dipendenti, coloro che perdono il lavoro e coloro che usufruiscono della cassa integrazione. Gli stanziamenti del governo per il sostegno di questi redditi sono stati fondamentali, non solo per un dovere sociale inderogabile dello Stato, ma per impedire la caduta della propensione al consumo. Se questa caduta non c’è stata è perché, di fatto, si sono ridotti, a causa della recessione, gli altri redditi, che sono principalmente i redditi da lavoro autonomo e altri redditi vari da capitale. E’ difficile dire quanti dei percettori di questi redditi siano soggetti a vincoli di liquidità, cioè non siano in grado di mantenere inalterati i propri consumi di fronte ad una flessione temporanea dei propri redditi, anche perché gran parte delle famiglie percepisce contemporaneamente redditi di vario tipo. Tuttavia è certo che per una parte non trascurabile di essi è possibile non ridurre i consumi proporzionalmente. Non lo è invece per molte altre fasce di lavoro autonomo, più deboli, soprattutto per i  tanti giovani e meno giovani che lavorano con contratti temporanei. Ma, si è detto, il governo è tenuto a far seguire l’azione alle analisi dei fatti. Fino ad oggi esso ha compiuto il suo dovere sui due fronti principali di impatto alla crisi. Esso ha stanziato fondi sufficienti a garantire sicurezza ai redditi di quei lavoratori dipendenti che vengono colpiti dalla flessione produttiva. Al tempo stesso, e come prima azione, ha offerto il sostegno necessario al sistema bancario italiano per superare difficoltà temporanee e garantire il risparmio degli italiani, bloccando così l’insorgere di situazioni di panico. Siamo ora entrati in una fase cruciale in cui si tratta di sostenere l’attività produttiva e la domanda interna per tre o quattro trimestri in attesa che riparta il ciclo mondiale. Ciò è necessario per tre motivi connessi tra loro. Il primo è che è necessario impedire che cresca il costo sociale ed economico  rappresentato dalla perdita di posti di lavoro o dalla riduzione delle ore lavorate. E’ preferibile, per quanto possibile, usare le risorse per creare o mantenere posti di lavoro che per sostenere i redditi di chi perde il lavoro, e questa strategia sarebbe favorita qualora si confermasse una dinamica dell’assorbimento di risorse per gli ammortizzatori sociali inferiore a quanto, per sicurezza, stanziato dal governo. Il secondo è che è necessario mantenere e rafforzare la capacità produttiva per poter cogliere la fase di ripresa. Il terzo è che è necessario stabilizzare gli altri redditi non da lavoro dipendente colpiti fortemente dalla crisi, soprattutto quelli delle fasce più deboli, e impedire che aumentino le difficoltà di accesso al lavoro per le nuove generazioni.

Che fare quindi? Coniugare un’azione congiunta dal lato della domanda e dell’offerta. Dal lato della domanda, nell’ambito dei vincoli di bilancio, le risorse devono essere concentrate nella domanda pubblica di infrastrutture, di nuove tecnologie, di manutenzione del capitale pubblico e nell’incentivazione, spesso possibile a costo quasi nullo, della spesa privata nella stessa direzione (piano casa, manutenzione del capitale fisico privato, tecnologie verdi e digitali). Quest’azione può essere favorita sia da una maggiore efficienza della PA nei suoi pagamenti al settore privato sia da un’attenta ricomposizione della spesa pubblica che allenti, nel   rispetto dell’obiettivo generale di deficit pubblico, i vincoli di bilancio cui sono sottoposti gli enti locali nell’attuazione dei propri progetti di investimento. Dal lato dell’offerta è necessario aumentare l’azione sul sistema bancario perché non faccia mancare il credito di sostegno all’attività produttiva ed agli investimenti privati, cruciali non solo per il sostegno della domanda interna ma anche per mantenere ed adeguare la capacità produttiva affinché risponda alla ripresa della domanda. Oggi non manca il risparmio, è necessario rimetterlo in circolo.

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