La riforma elettorale? Una trappola


Capita che, da molti anni a questa parte, al sopraggiungere di crisi o problemi politici si cominci subito a discutere dei sistemi elettorali, come se tutte le soluzioni possano derivare dalla loro modifica. I nostri, ormai, sono in larga parte problemi istituzionali. I sistemi elettorali influiscono, naturalmente, ma non possono cambiare né la realtà né l’impalcatura costituzionale.

Ho letto l’appello a favore del sistema uninominale e mi pare utile ragionarne senza ipocrisie. Intanto vedo un rischio politico in quel testo, legato al momento in cui esso viene proposto. È in atto da alcune settimane una campagna dell’opposizione rivolta a indebolire il governo e possibilmente a farlo cadere. Si discetta di governi tecnici, di unità nazionale (se non proprio di salute pubblica contro il tiranno Berlusconi). La foglia di fico per nobilitare queste operazioni è il richiamo alla necessità di una modifica della legge elettorale. Si tratta di intenzioni opportunistiche e strumentali, che nulla hanno a che vedere con le sincere preoccupazioni di riforma e che nascondono spesso nostalgie passatiste e proporzionalistiche. Come dimostra l’involontario lapsus di Bersani quando dichiara “mi si dia una maggioranza disposta a cambiare questa legge, che poi la nuova legge nuova si fa” (Corriere del 1 settembre). Del merito dunque non sembra importare granché. Questo è il motivo politico per cui è inaccettabile cominciare un dibattito sulle riforme iniziando dalla legge elettorale. Ed è il motivo per cui, oggettivamente, al di là di quali siano le intenzioni dei promotori, anche l’appello per l’uninominale rischia di essere utilizzato strumentalmente come grimaldello per abbattere il governo.

Questa legislatura si sta svolgendo all’insegna di una novità. In passato è accaduto che lo schieramento vincitore alle elezioni politiche abbia successivamente perso le elezioni amministrative, che funzionavano un po’ da contrappeso, quasi fossero elezioni di medio termine (sconosciute nel nostro sistema istituzionale). Ora capita, all’opposto, che la leadership di Silvio Berlusconi abbia riscosso l’indiscutibile maggioranza dei voti sia alle elezioni politiche che a quelle europee e regionali. Qualsiasi ragionamento che miri, mediante la riforma del sistema elettorale (pur necessaria), a modificare contabilmente questa realtà politica e civile è, per sua natura, illegittimo. Ragion per la quale chi, a sinistra, sostiene che non si può fare alcuna riforma senza la partecipazione e il consenso di chi ha la fiducia degli italiani non solo è realista ma dimostra di non avere smarrito il senso delle istituzioni e il rispetto della democrazia.

Anche perché – passando al merito – l’ostilità delle forze politiche che criticano l’attuale legge elettorale è pura ipocrisia. Il Porcellum gode di un generale (seppur inconfessabile) consenso. Quel sistema fa comodo alle segreterie dei partiti, a chi li dirige, sia che si tratti di maggioranza che di minoranza, perché consente a chi forma le liste di scegliere i gruppi parlamentari. E segnalo l’effetto su cui pochi hanno riflettuto, ovvero l’autoconservazione dei dirigenti che, anche nella sconfitta, vincono il dominio sui propri parlamentari, da loro nominati. E’ un sistema che a me non piace, tanto che appoggiai esplicitamente il referendum che intendeva assegnare il premio di maggioranza non alla coalizione ma direttamente al partito che avrebbe preso più voti. Non serve a nulla, però, truccare le carte in tavola e far credere che, ad esempio, la sinistra detesti e non abbia approfittato del “porcellum”, sia perché concorse a descriverlo, sia perché se ne fa forte in una regione, la Toscana, ove la sua rappresentanza è preponderante.

L’uninominale è un buon sistema, che con istituzioni diverse dalle nostre ha dato risultati positivi (non miracolosi, che non si sono mai verificati da nessuna parte). Come tutti i sistemi ha le sue controindicazioni: un notevole potere “marginale” dei partiti minori, l’esistenza comunque anche lì di collegi “sicuri” con l’effetto di indebolire il sospirato rapporto con il territorio. Ricordo ad esempio che l’on. Mattarella, autore del Mattarellum (in larga misura uninominale), fu candidato in un collegio assai distante dalla regione nella quale ha sempre svolto la sua attività. Per non dire dell’onorevole Di Pietro, che i cittadini del Mugello appresero, dai giornali, essere il loro nuovo rappresentante. E i pur valorosi radicali che firmano l’appello di oggi dovrebbero ricordare le proprie candidature in collegi assegnati dal centro, ove i futuri parlamentari erano letteralmente catapultati.

Ciò non significa che i sistemi elettorali siano ininfluenti. E anzi proprio perché non sono ininfluenti dobbiamo pensarci bene prima di rinunziare al Porcellum. A differenza di quanto vorrebbero far credere i benpensanti della sinistra non è vero che qualunque sistema è meglio di quello attuale. Il proporzionale della Prima Repubblica non lo è, come non lo sono le pratiche trasformistiche e le manovre parlamentari che la partitocrazia dell’epoca ci ha regalato. Quelle cui nostalgicamente anelano i cultori del terzopolismo e del doppiofornismo.

Posto ciò, il succedersi delle esperienze e delle legislature, nate con diversi sistemi elettorali e con diverse maggioranze politiche, dimostra che il punto debole del nostro sistema non è solo nel pallottoliere elettorale ma soprattutto nella debolezza costituzionale del governo e nella strutturale inefficienza del Parlamento. Possiamo comporre e colorare le Aule nei modi più diversi, ma non sfuggiremo mai al fatto che il nostro resta un governo istituzionalmente diverso da quello che i cittadini percepiscono, che nessuno vota per l’elezione del premier e che, quindi, le valutazioni a consuntivo sono rese impossibili o pretestuose.

I Costituenti fecero un ottimo lavoro, interpretando lo spirito dei tempi (1947) e i bisogni di un Paese uscito distrutto dalla seconda guerra mondiale. Molti di loro (da Calamandrei a Mortati, da Einaudi a Ruini) erano consapevoli che le scelte sulla forma di governo fossero figlie del proprio tempo e dovettero rinunziare a ben maggiori ambizioni. Anche per onorare il loro lavoro, oggi dobbiamo assumerci la responsabilità del cambiamento. Né ci possiamo affidare messianicamente alle sole soluzioni elettorali, lasciando inalterata l’architettura costituzionale, perché questo è un esercizio che si dimostra inutile (nel migliore dei casi) o addirittura pericoloso. Non si cambia il modello cambiando il modo in cui si celebrano le elezioni, così come non si cambia il fisico di una persona cambiando la lunghezza delle sue scarpe. Si ottengono solo risultati grotteschi.

Per questo non posso sottoscrivere l’appello per l’uninominale. Esso è politicamente debole e contenutisticamente insufficiente. Ci si offra un appello per un modello federalista e presidenzialista, con un coerente sistema elettorale maggioritario, con garanzie per le opposizioni e anche una giustizia più efficiente per i cittadini: sarò il primo a firmare. Al di là della propaganda e della falsa accademia, non esistono uscite di sicurezza o scorciatoie: si deve essere capaci di affrontare una seria riforma costituzionale. Il resto sono chiacchiere estive, destinate a sparire con i temporali imminenti.

Renato Brunetta
Da IL GIORNALE del 3 settembre 2010

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